Corresponsabilità 15 novembre 2015
PER FAR CRESCERE
IN UMANITÀ
IL NOSTRO TEMPO
Non ci chiediamo più cos’è umano, lo diamo per scontato, ma in realtà non lo sappiamo più.
L’umano è ciò che si condivide, che è comune.
Senza l’umano condiviso e comune difficilmente si potranno fronteggiare gli incontri tra gli esseri umani sulla base di una comunanza (PA. Sequeri).
E’ in gioco — continua il teologo milanese — l’idea stessa dell’individuo, della persona.
Incoraggiamo i nostri ragazzi a porsi la domanda:
chi sono io.
Una domanda interessante, ma senza fine, che può anche rendere molto infelici, una specie di gabbia dorata nella quale abbandoniamo l’altro all’ossessivo peso di sé.
Onestamente, e me ne prendo la responsabilità, vedo in giro sempre meno tracce di umanesimo e non mi entusiasma neppure l’aggiunta dell’aggettivo nuovo.
“Nuovo umanesimo” è una cifra roboante e un po’ ad effetto per una pastorale che patisce troppe incertezze e vive continue inquietudini.
La stessa cosa si può dire per l’Evangelizzazione che si conserva spesso come un tormentone, una parola d’ordine esausta, senza cioè la spinta di nuove idee e di coraggiosi vissuti.
Un “nuovo umanesimo” è una sfida forse troppo grande, superiore alle nostre oggettive possibilità e alle forze di cui onestamente oggi disponiamo.
Dobbiamo imparare a mettere insieme, nel nostro desiderio di essere Chiesa, grandezza e piccolezza.
Guai se diventassimo vili e vecchi anzitempo, e tuttavia non mi piacerebbe neppure finire intrappolato in semplici cartelli di pastorale.
Il piccolo seme, gettato nel terreno e che diventa albero, è ancora la forma più credibile dell’esperienza cristiana.
Una Chiesa povera non è solo una chiesa che rinuncia ad avere dimore sfarzose, ma è povera perché sceglie umili mezzi, testimonianze semplici e feriali, programmi fattibili e ricchi soprattutto dello Spirito di Dio.
Parola di parroco.
Don Leone